TED americanata (leggi fuffa) oppure innovazione ?


Mai sentito parlare di TED ?

Rimbalzo un articoletto di ieri, di tal Braconi che, almeno all’inizio spiega un pò cosa è TED,
poi non so come continua l’articolo comunque da leggere (poi lo finisco anche io di leggere).

😉

TED Talks: l’equità è tabù?

di Mario Braconi

Con ogni probabilità, a chiunque abbia un po’ di dimestichezza con la Rete è capitato prima o poi di imbattersi in un TED Talk. TED (che sta per Technology, Education, Design, ovvero Tecnologia, Istruzione e Design) è un marchio che gestisce un ciclo di conferenze nelle quali ad invitati celebri viene offerto uno spazio massimo di diciotto minuti per discutere “idee che vale la pena diffondere”. Sul palco di TED, che organizza sessioni in California, Europa e Asia, si sono avvicendati personaggi pubblici globali come i coniugi Gates, Bill Clinton, Al Gore, Larry Page e Sergey Brin di Google, Bono degli U2, nonché celebri intellettuali, tra cui l’apostolo dell’ateismo militante RIchard Dawkins e gli scrittori Dave Eggers e Alain De Botton (autore di un intervento indimeticabile). Da qualche anno le riprese di tutti i sermoni laici sono disponibili gratuitamente online sul sito di TED, su YouTube e su altre piattaforme.

Attuale curatore del marchio TED è il britannico Chris Anderson (niente a che vedere con l’omonimo capo di Wired), il quale, dopo aver iniziato la sua carriera come giornalista, ha fondato la Future Publishing, un editore multinazionale che pubblica ben 150 periodici dando lavoro a 1.500 dipendenti. Benché tra i discorsi editi da TED ve ne siano di veramente interessanti, non si può dire che il network riscuota simpatie incondizionate.

La giornalista specializzata in tecnologia, Sara Lacy, ad esempio, ha giustamente puntato l’indice contro l’atteggiamento elitario di Anderson e soci, che pretendono da ogni partecipante la “modica” quota di partecipazione di 6.000 dollari e a quanto pare riservano agli ospiti un trattamenti modulati in base alla celebrità e alla posizione professionale. Il saggista di origine libanese Nassim Nicholas Taleb, autore del best seller “Il Cigno Nero”, ha definito TED una “mostruosità che trasforma pensatori e scienziati in intrattenitori di bassa lega, circensi”. Secondo Taleb, il suo discorso per TED del 2008, nel quale si parlava della vulnerabilità degli attuali sistemi di gestione del rischio finanziario, basati sull’estrema rarità di certi eventi catastrofici, sarebbe stato pubblicato in ritardo per motivi “puramente estetici”.

A quanto pare, i guai non finiscono qui per Anderson. In un pezzo pubblicato il 16 maggio sul settimanale politico di Washington, National Journal, il redattore economico Jim Tankersley riferisce un’altra storia non molto edificante. Pare infatti che lo speech di un altro invitato di riguardo sia stato addirittura stato cassato dal palinsesto disponibile su internet. Si tratta del discorso che il multimilionario Nick Hanauer ha tenuto sulla disuguaglianza economica negli Stati Uniti. Figlio di un impiegato trasformatosi in fabbricante di cuscini, Hanauer ha avuto l’intelligenza e la fortuna di investire a suo tempo i suoi risparmi (45.000 dollari) in una net company sconosciuta, che si chiamava Amazon. Oggi, ovviamente è un ricco sfondato e di mestiere fa il venture capitalist.

Pare che la colpa di Hanauer sia di aver sostenuto idee troppo di sinistra. Il National Journal ha pubblicato una trascrizione dell’intervento (comprese le slide) con cui il capitalista americano ha messo in discussione un’idea che per i repubblicani è un dogma di fede ma che viene assai raramente messa in discussione anche dai democratici. Il concetto, più o meno, è questo: “Se si aumentano le tasse sui ricchi, la disoccupazione tenderà a crescere”. Secondo Hanaue non sono i ricchi a creare nuovi posti di lavoro, che vengono invece generati dal circuito virtuoso che si instaura tra consumatori ed aziende: solo i consumatori possono metterlo in modo, scatenando nuove assunzioni nelle aziende che devono soddisfare una accresciuta domanda. “Sotto questo aspetto, un qualsiasi consumatore della classe media crea più posti di lavoro rispetto a un riccone come me”.

Basta dare un’occhiata alle statistiche: dagli anni Ottanta ad oggi la quota del reddito in mano ai americani più ricchi si è triplicata, mentre la pressione fiscale è scesa del 50%. Dunque si è verificata una redistribuzione del reddito contro-intuitiva, dai più poveri verso i più ricchi; al di là delle ovvie considerazioni etiche implicite in questi dati, non si può certo dire che questo discutibile processo abbia condotto alla piena occupazione negli Stati Uniti, anzi. La disoccupazione è (relativamente) elevata anche negli USA, mentre rimane significativo anche il fenomeno della sotto-occupazione.

E’ ridicola, inoltre, l’argomentazione secondo cui la capacità di spesa dei più ricchi, ovvero dei principali beneficiari dei tagli delle imposte, sia in grado di compensare la riduzione del potere di acquisto delle classi meno abbienti. “Le entrate annue di persone come me sono centinaia, se non migliaia di volte superiori alla mediana dei redditi delle famiglie americane” continua Hanauer, “eppure noi [ricchi] non compriamo centinaia o migliaia di volte più cose rispetto ad una famiglia medio borghese”. Del resto, quale principio è in grado di giustificare un sistema fiscale in cui i redditi da capitale sono tassati al 15%, mentre il prelievo marginale medio sul lavoro è del 35%? Solo il fatto che i ricchi in America tendano a considerarsi dei semi-dei – cosa peraltro evidente, annota sardonico il conferenziere, dal termine generalmente associato alla sua classe, che si autodefinisce quella dei “creatori” di posti di lavoro.

Un intervento davvero utile, originale e convincente, ma che Anderson ha ritenuto troppo politicamente schierato. In una comunicazione interna di aprile, in effetti, Anderson ha lasciato intendere che anche il pezzo di Melinda Gates, favorevole alle politiche di contraccezione nei paesi in via di sviluppo, non era stato di suo gradimento per le stesse ragioni: troppo “di parte”. Anderson, nella sua autodifesa postata sul blog il 17 maggio, ha sostenuto che la scelta di non pubblicare su TED l’intervento è stata dettata dal fatto che “ne avevamo di migliori”. Nessuna censura, dunque, anche perché, sostiene l’imprenditore inglese, “a me per esempio non verrebbe mai in mente di parlare di censura se il New York Times si rifiutasse di pubblicare un mio editoriale op-ed”.

Dato che di comunicazione se ne intende, Anderson è andato oltre, pubblicando su YouTube il filmato contestato, anche se esso continuerà a non comparire tra quelli disponibili sul sito di TED Conferences. A quanto pare, nel cenacolo degli eletti “progressisti” vi sono parole che bruciano più del fuoco. Come queste: “i veri creatori di lavoro sono i membri della classe media. Tassare i ricchi per fare investimenti che permettono l’allargamento della classe media è la miglior cosa che si possa fare per la classe media, i poveri ed anche per i ricchi.”

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